Una promessa è una promessa

Jacopo Bettinelli

«VAFFANCULO!» urlò Carlo all'improvviso, mentre era ancora a letto, leggendo le notizie sul suo smartphone.

«CARLO!»

«Cosa c'è?» chiese Carlo un po' stupito di sentire la fidanzata chiamarlo all'improvviso.

«Come cosa c'è?» gli rispose Giovanna: «C'è che la devi smettere di dire parolacce per ogni piccola cosa che ti succede, non è possibile che la domenica mattina alle 7 mi svegli con un vaffanculo. Te l'ho detto più di una volta che la devi piantare di tirare insulti a destra e a manca. Quante volte la tua boccaccia ti ha messo nei casini, eh? Hai ancora un occhio nero da sabato scorso quando hai insultato quel tizio al bar. Per non parlare delle figure che mi fai fare quando passi a trovarmi in ufficio o quando siamo in giro a far compere. Non te lo ripeto più: devi trattenerti. Sii più civile, perbacco!»

«La fai facile tu, sempre a dire acciderbolina, caspiterina e tutte queste altre scemenze...»

«ANCORA!»

«Ma pure scemenze non si può dire?»

«No.»

«Va bene, va bene dai: la smetto con le parolacce.»

«Sì, vabbè, questa l'ho sentita tante altre volte, eppure siamo qui a discuterne ancora!»

«Guarda Giovanna, questa volta lo dico davvero. Che giorno è domani... ah, lunedì 30 ottobre. Benissimo. Ora scrivo sul cellulare un appunto.»

Così che sullo schermo appare in poco tempo la nuova nota: Io sottoscritto, Carlo Zanaboni, prometto solennemente che qualsiasi cosa accada non dirò più nessuna parolaccia o bestemmia fino alla fine dell'anno. «Così va bene? son quasi 2 mesi, eh! Un contratto mica male, e poi: una promessa è una promessa!»

Giovanna rise all'improvviso e gli rispose col sorriso sulle labbra che era uno sciocco (sciocco si può dire) e che avrebbe fatto meglio a mantenere la promessa «qualsiasi cosa accada».

Il resto della giornata venne passato a esaurire il corredo di bestemmie e parolacce che Carlo aveva in serbo, perché per più di due mesi non avrebbe potuto farlo e Giovanna, solo per quel giorno, non si lamentò dei vari improperi che volavano per casa.

Dal giorno dopo Carlo, che nonostante le parolacce frequenti era un ragazzo tranquillo, si svegliò bene, ma appena alzato dal letto pestò il mignolo contro il comodino e un «PORCA PU…» gli uscì dalla bocca. C'è da dire che fu abbastanza svelto a mettersi una mano in bocca e a morderla prima di finire la parola. Fu così che già dal primo giorno trovò il modo di limitarsi. Purtroppo per Carlo, le sue tentate imprecazioni furono così tante che a fine giornata la mano divenne di un colore rosso vivo. Già dal secondo giorno, il nervosismo che non poteva esser espresso iniziò a chiedere il suo scotto. Lui che per quasi trent'anni si era sempre vantato di come teneva bene le sue mani, decise che al posto di una parolaccia si sarebbe tappato la bocca mangiando un'unghia, dato che faceva molto meno male che mordersi le nocche o il lato della mano. Purtroppo per lui, già solo nel tragitto casa-lavoro aveva esaurito le unghie a disposizione, così che passando davanti ad un tabacchino si prese un pacchetto di gomme da masticare. Quelle durarono fino a metà mattinata. Poi dovette tornare a mordersi le mani fino a mezzogiorno. Pausa pranzo di nuovo dal tabacchi per una confezione di ‘cicche’. Il tabacchino però era veneto e quindi gli diede un pacchetto di sigarette. Carlo restò un attimo sorpreso, ma poi si disse che magari la nicotina avrebbe potuto calmarlo più delle gomme, così che iniziò a fumare. Quando tentò di accendersi una sigaretta in ufficio, i colleghi si lamentarono subito della puzza e del fumo passivo dannoso per la salute e Carlo che stava già lottando contro un bestemmione, corse di nuovo dal tabacchi a comprarsi dei chewing gum.

Il problema però era che con la velocità con cui Carlo era abituato a lanciare insulti, nessuna scorta gli sarebbe potuta abbastanza. Così che cominciò ad alternare i morsi alle mani, il mangiarsi le unghie, le cicche nei luoghi chiusi e le sigarette all'aperto. Dopo una settimana arrivò a mangiare 10 pacchi di cicche e fumarne 3 di sigarette ogni giorno. Le unghie erano quasi mangiate fino alla radice e le mani rosse a causa dei continui morsi.

Andò avanti così per un altro paio di settimane, fino a che il 30 novembre andò alla festa di addio al celibato di Mario, un suo carissimo amico. La serata iniziò con una cena tranquilla con diversi amici, ma una festa come si deve va in crescendo così che dal ristorante si spostarono in discoteca, dalla discoteca ad uno strip club. Essendo sempre in luoghi chiusi non si poteva fumare e le cicche erano finite da un pezzo, così che Carlo decise di farsi uno shottino ogni volta che sentiva un insulto salirgli alla bocca ed essendo una serata fra soli uomini, le volgarità degli altri uscivano a una velocità insistente.

Quando Carlo fu quasi sul punto di sboccare, un amico di Mario tirò fuori dal giubbotto una bustina piena di polvere bianca e gli disse: «Fatti un tiro, che poi ti ripigli». Così che Carlo trovò una sesta soluzione da poter alternare a mani, unghie, cicche, sigarette e alcolici.

Dopo un'altra settimana, si accorse che anche tutta quella cocaina non era una buona idea, perché era sempre più agitato e più agitazione voleva dire più voglia di parolacce. Per rilassarsi un po' decise quindi di farsi qualche spinello durante la giornata.

Purtroppo l'assuefazione si faceva sentire e dopo un altro paio di settimane non riusciva più a dormire neanche dopo la canna serale. Cosicché decise di passare all'eroina. Una bella pera prima di andare a letto e dormiva come un bambino. Dopo qualche giorno Giovanna scoprì cosa stava facendo cercò di dissuaderlo in tutti i modi da continuare a conciarsi così, ma Carlo non voleva sentire ragioni. Se l'era scritto sul cellulare, «qualsiasi cosa accada», non avrebbe detto una parolaccia o una bestemmia fino alla fine dell'anno. Del resto mancavano solamente una manciata di giorni.

Giovanna si rifiutò di portarlo al pranzo di Natale con i suoi genitori adducendo loro la scusa che era malato. Lei pure in quei giorni non stava troppo bene pensando a tutte quello che il suo amore stava passando.

Nei giorni seguenti prese la decisione che bisognava portarlo in un centro di recupero prima che fosse troppo tardi. La sera dell'ultimo dell'anno lei aveva appena menzionato questo a Carlo, il quale si arrabbiò come un animale, lui non aveva un problema con le droghe, lui aveva un problema con le parolacce, gliel'aveva detto pure lei! Nel diverbio che ne seguì, voleva dirne così tante (oramai aveva tirato tanta coca quanto Johnny Depp in Blow). Giovanna era spaventata a morte e chiamò il centro di recupero che mandò un'ambulanza ed una pattuglia di polizia.

I paramedici arrivarono per primi, dieci minuti dopo la mezzanotte di capodanno 2014. Carlo era riverso sul corpo inerme di Giovanna e stava urlando qualcosa come «Vaffanculo puttana di merda, hai visto che ce l'ho fatta a non insultare nessuno fino alla fine dell'anno?!» Una volta finito di blaterare sotto gli effetti del mix di droga e alcolici, disse ancora una volta «Ce l'ho fatta» e gli venne un infarto fulminante.

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Commenti: 2
  • #1

    alessamdro (lunedì, 08 dicembre 2014 19:50)

    Una storia degna di Quentin Tarantino

  • #2

    Ruben (giovedì, 08 gennaio 2015 17:14)

    Quentin Tarantino meets gli Articolo 31 ("Con le buone si ottiene tutto"). Grandi artificieri!