Oggietàrdi

Matvey Schmidt

In una città grigia, Oggietàrdi, un topolino cercava le solite briciole di pane. Fra i frettolosi, gli sbadati che mangiano sempre in ritardo, per lui c'era sempre di che sopravvivere.

Una mattina qualsiasi piombò un meteorite di ghiaccio su tutta la metropoli.

Le persone rimasero intrappolate fra alte lastre di vetro fresco e insapore... in ogni caso ci vediamo, tu non mi ascolti, con latte a parte per cortesia… Nessuno si accorse di niente. Il ghiaccio costringeva tutti a cambiare direzione ma a tutti parve normale, era uno strano labirinto.

Il ghiaccio portò anche luce, riflettendo il Sole che non toccava più le strade da molto tempo; le lastre erano altissime e immergevano le vette nella coltre di nebbia, in alto.

Il topolino rimase terrorizzato dentro la propria tana, sotto un cestino della spazzatura, per più di tre giorni. Solo al quarto mise una zampetta, poi il naso fuori: le persone marciavano come sempre. Se camminano, mangiano anche. Uscì.

Mai furono così chiari i lineamenti dei bipedi, mentre parlavano a telefono e non guardavano in alto, mentre si facevano strada fra gli strettissimi cunicoli del dedalo. L'animale filava veloce fra le scarpe dei passanti e aspettava che cadessero i soliti pasti.

Corri, fermati, prendi… e intanto studiava i colori nuovi della città. Un tenero azzurro colorava l'asfalto e un verde acqua dimenticato lustrava, infradiciava le gote delle signore, i fumi di sigaretta, le vetrine scorte appena. Era immerso e correva, quando una scintilla si posò su un baffo: tremò, volse lo sguardo curioso alla fonte di quel riflesso ma non capì. Le lastre giocavano con una lontana luce solare senza però rivelarne la provenienza. Si sentiva scaldato, il colore entrava nei suoi piccoli occhi neri, fino a spingerlo di cercare più in alto.

Abbandonò la propria tana, forse ho ancora fame ma terribilmente curioso.

Affrontò lunghe scalate, lunghi e coraggiosi salti fra una parete e l'altra e scavò piccole insenature durante la notte, per riposare. Aggirava lesto i disegnetti infantili delle gocce, fastidiosissime sulle zampe e sul naso.

La gente svaniva nei contorni, giorno dopo giorno, fino a confondersi in una brulicante macchia opaca, come il fondo di una piscina antica.

Dopo settimane successe qualcosa: arrivò ad un soffitto bianco, una bocca barbuta e ingurgitante o nebbia, attraversò. In quel tratto le cime delle lastre erano scivolose.

Devo fare in fretta, qui si sta sciogliendo tutto.

Emerse prima la zampetta, come sempre, e poi il naso. Vide qualcosa. Sgranò e il cuore inspirò. Le lastre si sciolsero. Oggietàrdi affondò nella gloria di una pozza d'acqua senza che nessuno avesse avuto il tempo di imparare a nuotare. Le strade dense di briciole zuppe.

Il corpo del piccolo topo scese dalla nebbia insieme all'ultima cima ghiacciata, per poi galleggiare nella corrente. Ho conosciuto un domani? sospirò una delle tante scintille in alto.

Il topolino svanì insieme alla sua tana e alla sua città, mentre la scintilla divenne luminosa e ignara di ciò che accadesse al di sotto del mistero di nebbia. Il mondo divenne una gigantesca lacrima d'argento ma riuscì a commuoversi, anche se non vi rimase più vita.

Non c’è dolore che il cielo non possa contenere, non c’è gioia che la terra possa comprendere.

Scrivi commento

Commenti: 0