Non più di un istante

Giorgia Aimeri

Il letto è disfatto.

Ricorda a malapena il nome dell’uomo che ansima ancora al suo fianco.

Gli lancia un’occhiata disgustata.

No.

Non prova più piacere, ma allevia ancora il dolore.

Avvicina l’accendino alla sigaretta lasciando che il fumo vada ad anestetizzare e riempire quel vuoto che sente al posto dello stomaco.

Ha bisogno di andarsene.

I cunicoli della metropolitana si snodano sotto terra come la tana di una talpa.

Sono le 17.40, Marta trattiene il fiato e si immerge in quella folla eterogenea che pare andare tutta nella stessa direzione e tutta con la stessa fretta.

Si aggrappa alla maniglia per evitare di essere trascinata fuori prima che sia arrivata alla sua fermata.

Il telefono continua a vibrarle in tasca, ma una donna in cappotto rosso le è così vicina da impedirle di prenderlo.

Richiameranno.
Odore di ciambella, volta lo sguardo e vede un ragazzino con la camicia aperta affondare i denti nella crosta zuccherata di quel pane fritto, lo stomaco le si contrae, cerca di allontanare la fame passando in rassegna i compagni di viaggio di quella mattina: un’anziana dai capelli bianchi e gli orecchini di perla, una sudamericana che tiene per mano un bambino cicciottello, un uomo che sonnecchia dietro il giornale… la sua fermata.

La sua fermata.

Sente la puzza di alcool fin dall’androne delle scale, sua madre doveva essere in casa.

I muri gialli scrostati la riportano all’infanzia.

La realtà migliore apparteneva alla fantasia.

La cassetta rossa della posta dalla targhetta dorata è ancora lì, a ricordarle che per le bollette esiste ancora.

La chiave nella toppa oppone resistenza, ma non la convince a rimanere fuori.

Sua madre è sul divano, ha addosso il vestito di Capodanno con la speranza che vi siano rimasti intrappolati i residui della felicità che impone la tradizione.

Il padre è andato a cercare la gioia nel verde di un tavolo da poker.

La vita è una menzogna.

La pace una cosa da chierichetti.

Un debito in banca.

Una famiglia distrutta.

Un mutuo da pagare.

Marta scoppia a ridere; sua madre le urla di smetterla perché non riesce a seguire la ricetta di Benedetta Parodi, che tanto non cucinerà mai.

Vorrebbe dormire, è stanca.

Le preoccupazioni sbattono con insistenza contro le pareti del cranio; inghiottisce un moment sperando che renda meno dolorosi i pensieri.

David Bowie fa tremare le casse, i timpani si sono già inginocchiati, ma lei no.

Soddisfazioni, piaceri che durano solo un’istante.

Si corica su quel letto disfatto dalle lenzuola a fiori.

Lo schermo del cellulare si illumina, avrebbe dovuto essere a Crocetta almeno mezz’ora fa, capiranno che non andrà.

La madre si affaccia alla porta della sua stanza senza nemmeno bussare.

«Marta io vado con Alessandra a fare un giro, tuo padre… tuo padre non so quando tornerà. Tieni il cellulare vicino, magari ti chiama qualcuno per dirti dove andare a recuperarlo.»

Sente la porta di casa chiudersi.

Si corica sul letto e respira.

Il gatto miagola nell’altra stanza.

La sabbietta è sporca, vorrà uscire.

La mano corre leggera sul lucido pelo arancione, Francesco alza lo sguardo, sorride.

Marta articola parole che si perdono tra i pensieri di sgomento, senza aria, senza suono, senza senso.

«Dio quanto è invecchiata tua madre.»

Eccola, la voce: «Cosa le hai fatto?»

«Nulla, l’ho vista che usciva, ma lei non si è accorta di me… mi spiace»

«Cosa ci fai qui?»

«Te ne sei andata senza salutare.»

«Dove, cosa stai dicendo?»

«In metropolitana oggi pomeriggio, ma giusto io non faccio più parte della vita, aspetta, quale era la frase precisa? Ah sì, giusto: ‘non posso più stare con te, non ti amo più come un tempo.’ Marta, Marta… Ricordo ancora tutti i tuoi per sempre» Francesco si alza dal divano, il gatto miagola privato delle sue attenzioni, i muscoli di Marta si tendono sotto i vestiti.

«Quando lo dicevo… Io ci credevo allora, davvero.»

«Ma io so che mi ami ancora, perché io provo ancora – Francesco le sfiora la guancia – quella stessa stretta allo stomaco – porta le sue labbra a sfiorare quelle di Marta – che provavo tre anni fa.»

Il corpo di Marta oscilla in avanti, le labbra si dischiudono appena.

La ragione prende il sopravvento e una mano allontana Francesco.

«Come sei entrato in casa mia?»

«Te l’ho detto, tua madre. Dovresti conoscerla, ha lasciato la porta aperta.»

Francesco prende la stessa mano che lo stava allontanando e che era stata dimenticata lì, sul suo petto.

«Vieni.»

L’uno di fianco all’altra, la fotografia di giorni interi di anni passati.

«Non puoi dire che non mi ami più.»

«Dovresti andartene.»

Le loro labbra si incontrano di nuovo, è come tornare a casa dopo tanto tempo.

Marta respira a fondo quell’odore, la mente tace addormentata dalla dolcezza che solo i ricordi possiedono.

Francesco si inginocchia davanti a lei, le mani sulle sue gambe chiuse.

«No, questo non hai più il diritto di farlo»

Le sfila l’intimo. Sa di essere bagnata e si odia per questo. Poggia le labbra sul suo clitoride, la lingua percorre l’intera fessura e la mente di Marta tace.

Si promette di non dargli la soddisfazione di emettere alcun suono, la bocca di lui si apre e si chiude lenta. Dio. Vuole morire. Si contorce, un gemito. Maledizione.

L’orgasmo arriva violento, portando con sé tutti i ricordi, l’esondazione di un fiume in piena.

Guarda il viso soddisfatto di Francesco, una lacrima percorre la guancia di Marta.

«Dimmi che non mi ami»

«Non ti amo più»

«Non mi sembrava così poco fa. Altrimenti perché te lo saresti lasciata fare?»

Marta tace.

Una sola parola le sfugge come una goccia a un lavandino che perde: «Vattene»

«Riproviamoci. Ti amo abbastanza per tutti e due.»

Per un istante i cavalli corrono nel vento, gli zoccoli battono sul terreno, la sabbia danza nell’aria, si modellano le dune sotto il sole caldo.

Una donna vestita di veli cammina nel silenzio, i cavalli le andranno contro, continuano la loro corsa, avanzano, lei non farà in tempo a schivarsi, continuano a correre sempre più in fretta, la donna tende un braccio verso l’alto, un’invocazione disperata al cielo. Qualcuno che era in sella l’afferra, la tiene per il polso, non la lascerà.

La donna si stringe al corpo dell’uomo con la bufera di sabbia che sembra rincorrerli, li insegue, ma i cavalli galoppano implacabili.

Una clessidra capovolta senza tempo ha fermato il sole appena sopra all’orizzonte.

E poi la quiete, il vento è cessato.

I cavalli rallentano il passo, il manto incrostato di sabbia lascia cadere granelli a ogni passo, rallentano, rallentano fino a fermarsi.

«È cessato il vento. Il mio è stato un gesto egoista, non avrei dovuto… avevo solo bisogno di essere salvata, scusami non avrei dovuto.»

«Cosa stai dicendo?»

«Vattene Francesco, ti prego.»

«Se non volessi? »

«Cosa vuoi fare, ammazzarmi?»

«Mi sarei accontentato di amarti.»

Marta gli chiude la porta alle spalle, si siede sul divano.

La mano corre leggera sul lucido pelo arancione, Marta alza lo sguardo, sorride.

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